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Recensione Return to Monkey Island

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Return to Monkey Island

Return to Monkey Island
Editore: Devolver Digital, Lucasart, Terrible Toybox
Genere: Avventura grafica
Piattaforma: Steam, Nintendo Switch
Anno: 2022
Versione di test: Windows

La mia storia preferita di Monkey Island non riguarda un puzzle, un personaggio del gioco o una battuta spiritosa.

Non riguardano Stan e il suo modo assurdo di parlare, o la testa mozzata che ci parla… In realtà la storia che ricordo di più del videogioco non è una storia del videogioco.
Ha a che fare con un’amica di mia moglie.

Questa ragazza una volta ci ha raccontato che, quando era bambina, ogni volta che aveva una storia da raccontare a sua madre, la madre la fermava sempre prima di cominciare e le diceva, con quello che immagino fosse un sospiro pesante e profondamente teatrale: “… si tratta di Monkey Island vero?”.

Ci ho pensato molto. Una bambina così innamorata di Monkey Island, che ne parlava con tale passione così infinita, che faceva diventare la mamma diffidente nei confronti di ogni conversazione.

Ancora oggi, ogni volta che sono particolarmente prolisso nel racconto, mia moglie mi ferma e dice: “Si tratta di un racconto alla Monkey Island?”.
Conversazione terminata. Sconfitto.

E ovviamente la cosa divertente è, che se mai ci fosse un gioco di cui vale la pena parlare è proprio Monkey Island. Vorrei chiarire: vale la pena parlare di un sacco di giochi, ma Monkey Island –la serie- è singolare in quanto vale la pena raccontare della gente.
In quel gioco sono successe cose che sembravano senza precedenti negli anni 90.
La ricchezza dell’ambientazione, il tono comico, la regia degna di un film… la distruzione della quarta parete.

Come bambini delle scuole che giocavano a questo capolavoro la sera e nei fine settimana, personaggi del gioco che erano quasi consapevoli di essere personaggi del gioco.

Mi ricordo, a scuola; ore 9:00 di lunedì assieme al mio migliore amico del tempo: “Matteo, non ci crederai cosa è successo ieri sera mentre giocavo a Monkey!”.
Monkey Island, per inciso, era un gioco d’avventura punta e clicca che portava avanti una serie di giochi di avventura e rivoluzionava il genere.

Raccogli oggetti, intrattieni conversazioni, risolvi enigmi usando “A” con “B”. Vai avanti. Verso l’alto, verso l’esterno. All’epoca questo era il genere più sontuoso in circolazione. Quante località diverse? Quanti personaggi incontrati? Quanti enigmi? Quanti dialoghi assurdi scelti? Questo era il genere in cui gli sviluppatori riversavano tutto ciò che avevano. Le basi del genere erano stabilite.

Monkey Island ha gettato basi per il mercato. Tutto in otto dischi blu (se mi ricordo bene) e una ruota di codici per superare ogni volta la protezione della copia.
Lo caricavamo nei nostri drive su Amiga o su Pc e partivamo nel miglior mondo immaginabile: i Caraibi ai tempi dei pirati… ma alcuni pirati erano zombie!! Ed era pieno di battute folli e divertenti!

Le battute erano la linfa vitale. Scherzi che trasformavano il combattimento con la spada in un gioco di insulti abbinati, il che significava che funzionava come meccanica ed era anche esilarante.
Scherzi che nascondevano enigmi al loro interno.
Battute che ti facevano capire che i giochi di avventura potevano essere follemente brillanti.

Monkey Island è stato fondamentale.

Anche i sequel senza Gilbert li ho apprezzati, erano chiaramente un lavoro di un team diverso, ma offrivano una storia vivace e buoni enigmi.
Ma ora, siamo tornati sull’Isola delle Scimmie. Return to Monkey Island è qui!
Un gioco d’avventura alla vecchia maniera dove si usano di nuovo A con B, con quel genio di Ron Gilbert e quel matto di Dave Grossman di nuovo al comando (manca Tim Schafer, ma era impegnato in un altro progetto).

Un ritorno a casa! Ed è un ritorno con un grandissimo fascino, dotato di una lussuosa, trapuntata, vellutata nostalgia.
Return to Monkey Island è profondamente, profondamente innamorato dei primi due capitoli di Monkey Island. Amore puro, asservito a loro, al passo con i suoi famosi ritmi e percorsi. Devia, certo, e aggiunge tantissimo alla serie, incluso un nuovo personaggio e una manciata di nuove isole scintillanti.

Ma dall’inizio sembra una successione di preziosi ricordi. Un successore spirituale? La parte dello spirito è giusta.
Guybrush Threepwood, l’aspirante pirata, è tornato ed è desideroso di svelare per davvero il segreto di Monkey Island questa volta. Ritorna a Melee Island.. è notte. La vedetta è ancora cieca. Guybrush è ancora alla ricerca di una nave e di un equipaggio e, ad essere onesti, di un buon piano. Sa quello che vuole ma non sa come ottenerlo… e così si parte!!!
Una parola sull’interfaccia di gioco. Affascinante e realizzata con esperienza. È interessante notare come si siano evolute le interfacce lungo la serie.

In questa versione si è tornati ad una semplicità che deriva dal tempo e dalla comprensione. Un puntatore che si sposta sullo schermo, una selezione di elementi interattivi chiaramente contrassegnati su cui possiamo passare col mouse e un inventario che consente di selezionare l’oggetto e posizionarlo con qualsiasi cosa. Tutto richiamabile anche tramite comandi tastiera comodissimi.
Semplice, veloce, intuitivo e super funzionale.
L’interfaccia diversa, ma Melee Island è proprio come la ricordavamo, fino alla disposizione delle strade e al modo in cui gli schermi si incastrano.

La Residenza del Governatore si trova ancora nello stesso posto dove si trovava nel 1992, e se ti ricordi come ci arrivavi ci ritorni ancora oggi senza problemi. E così inizia la grande sovrapposizione: ricordi dei vecchi titoli adagiati sul paesaggio del gioco moderno, o forse viceversa. Ricordi che si mescolano col presente.

Gli enigmi sono buoni. Funzionano bene. Mi piace come funzionano –spesso combinando A con B – e amo il modo in cui sono montati e contestualizzati. Per mezzo di A con B, fai amicizia, esplori il livello, sconvolgi la storia, scopri e risolvi enigmi. Sconfiggi i nemici, parli con gli amici e ti godi la gloriosa avventura di essere un pirata che è anche una specie di idiota totale.
E la A con B è sempre intelligente, spesso imperniata sull’uso perverso o improbabile di un oggetto in una situazione specifica. Guardi l’inventario e pensi, cos’è questo oggetto, ma anche cosa potrebbe essere utilizzato accidentalmente?
La narrazione impiega un po’ a rivelarsi. Quando il gioco si apre davvero a poco a poco e lo fa emozionando.

I cambiamenti? Rex Crowle (il grafico) offre un nuovo approccio alla serie, ma si adatta perfettamente alla storia e al gioco. Gli sfondi sono dettagliati e di grande atmosfera e in generale questa è molto oscura e “creepy”. Crowle ama le forme angolari a zig zag e spesso costruisce un intero luogo intorno a questo concetto di forma. E tra gli angoli inclinati e il bagliore della zucca di Halloween che si vede in qualche finestra, ci sono grandi ondate di immaginazione: la nave di LeChuck ha una poppa ricoperta di prese d’aria che lasciano il posto a un rosso infernale, come se Satana gestisse personalmente la propulsione.

La grafica dei personaggi è inquietante ma caratterizzata al meglio.
Tutto funziona. Anche la sontuosa colonna sonora. Tutto perfetto, tutto giusto.
Caro lettore ti chiederai: “Ma alla fine ne vale la pena?”.

Ci sono momenti di nostalgia che mi hanno commosso, e uno verso la fine che mi ha fatto venir voglia di richiamare lo stesso compagno di scuola di cui parlavo ad inizio recensione per raccontargli cosa accade ora sull’Isola delle Scimmie. Immaginatevi.. ore 9 di martedì mattino, ufficio.. compongo il numero e dico “Matteo non crederai a cosa è successo questa notte su Monkey Island!”.

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